Rinvigorenti Naturali: 8 alimenti che ci rimettono in piedi. Salve a tutti,oggi parliamo di come lo

lunedì 14 novembre 2016

 Precursore dell'Illuminismo... e oltre

Biografia :Giordano Bruno* Accademico di nulla accademia


Giordano Bruno nasce a Nola, vicino a Napoli, nel 1548 da una nobile famiglia campana. Sin da ragazzo avverte la vocazione al sacerdozio: compiuti i primi studi a Napoli, all'età di 17 anni entra come novizio nel convento di San Domenico sostituendo il proprio nome, Filippo, con quello di Giordano, e sette anni dopo è ordinato sacerdote.
Appassionato di teologia e filosofia antica e moderna, dotato di animo irrequieto e fervido acume non incline all'accettazione di dogmi senza averli prima sviscerati nel profondo, gradualmente matura la convinzione panteistica - ispirata ad Eraclito - che Dio è l'universo pur nella sua molteplicità; ma in tempi di piena Controriforma, forse i più bui nella storia della Chiesa cattolica romana, la sua teoria gli costa l'accusa di eresia, costringendolo ad abbandonare Napoli. 


Giordano Bruno ripara a Roma dove, nel 1576, lascia l'abito talare. Riprende a viaggiare per l'Italia, da Roma a Nola, a Savona, a Venezia, fino ad approdare a Ginevra dove abbraccia il calvinismo. Dalla Svizzera si trasferisce a Tolosa, in Francia, dove si dedica all'insegnamento e a Parigi, nel 1582, scrive le sue prime opere, fra le quali "De umbris idearum" e "Il Candelaio" (in verità la sua prima opera, "De' segni de' tempi", risale al 1577).
Dal 1583 al 1585 è in Inghilterra, dove prosegue la produzione letteraria con la pubblicazione de "La cena delle ceneri" e "De l'infinito universo et mondi": pubblicate nel 1584, entrambe sposano le teorie copernicane sulla natura e sull'eliocentrismo, pur contrapponendo al mondo finito di Copernico la sua idea di infinità dell'universo, ed accantonano definitivamente i postulati aristotelici; con "Spaccio de la bestia trionfante" (1584) e "Degli eroici furori" (1585), pone la conoscenza dell'universo quale fine ultimo della vita; del 1584 è anche "De la causa principio et uno", la sua opera più importante.
Nel 1591 è in Germania, a Francoforte, ed anche qui continua a scrivere componendo tre poemetti latini "De triplici, minimo et mensura", "De monade, numero et figura" e "De immenso et innumerabilibus". 







Nello stesso anno è invitato a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo che desidera essere da lui istruito sulla mnemotecnica e, probabilmente, avviato alla magia. Giordano Bruno si trasferisce dunque nella città lagunare, non presagendo che quella decisione gli sarà fatale: il Mocenigo, infatti, impressionato dalle idee fortemente temerarie dell'ex sacerdote fino ad apparirgli inquietanti e blasfeme, lo denuncia al Sant'Uffizio facendolo arrestare e processare prima a Venezia, dove ritratta in parte le proprie posizioni; poi l'inquisizione romana avoca a sé il processo e chiede, ottenendola nel 1593, l'estradizione dalla Repubblica lagunare.

Nel 1599 il cardinale Bellarmino lo sollecita ad abiurare ed egli sembra accettare, ma le sue dichiarazioni appaiono parziali e insufficienti. Dichiarato eretico, è condannato al rogo.
 L'8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza di condanna al rogo; terminata la lettura della sentenza, secondo la testimonianza di Caspar Schoppe, il Bruno si alza e ai giudici indirizza la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla»)


Per ordine di Papa Clemente VIII Giordano Bruno viene arso vivo a Roma, in Campo de' Fiori, il 17 febbraio 1600, all'età di 52 anni. In quello stesso luogo, nel giugno 1889, su iniziativa di un folto gruppo di uomini di cultura, Francesco Crispi erigerà un monumento in sua memoria.

Giordano Bruno ha avuto la capacità, oltre che il coraggio, di esporre in chiave filosofica la concezione pagana della vita nel Rinascimento rispetto a quella medievale. Delle sue idee egli scrive: "Con questa filosofia mi si aggrandisce l'animo e mi si magnifica l'intelletto".
La sua vita così errabonda, fraintesa, perseguitata ed eroica lo porterà a definire sé stesso un "accademico di nulla accademia". Illuminista ante litteram, il filosofo nolano rimane una delle figure più sui generis nella storia della filosofia moderna. 



Frase: "Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia."

Giordano Bruno
 Ma secondo voi Abbiamo l'Esclusiva?

Anche gli animali hanno i colpi di genio?

INTERVISTA L'intuizione che ci fa trovare la soluzione di getto è come una lampadina che si accende. E negli animali? Ne abbiamo parlato con Richard Byrne, studioso dell’evoluzione del comportamento sociale e cognitivo



In psicologia e neuroscienze il termine inglese insight, intuizione, equivale all’Eureka, il colpo di genio, quello che -si dice- colpì il matematico Archimede mentre faceva il bagno. Un momento non sappiamo la risposta ma un attimo dopo "aha!", arriva all’improvviso, come se il cervello ci avesse ragionato per conto suo. Trovare la soluzione per insight, in pratica, significa vedere il problema da un altro punto di vista, quello che in inglese si chiama "think outside the box” e che nel corso degli anni è stato studiato anche negli animali.
Di apprendimento per insight si iniziò a parlare con il movimento della Gestalt. Era il 1913 e lo psicologo Wolfgang Köhler si trovava a Tenerife, nelle soleggiate isole Canarie, a dirigere la Stazione per la ricerca sugli antropoidi. Il suo approccio era innovativo per il tempo: non studiava gli scimpanzé mentre risolvevano test specifici, ma presentava loro dei compiti più semplici per osservare, da spettatore, come li avrebbero affrontati. Quando lavorava con lo scimpanzé Sultan, poi diventato famosissimo, Köhler metteva una banana fuori dalla sua portata, ad esempio appesa molto in alto, lasciando

però a sua disposizione una serie di cassette di legno e bastoni di varia lunghezza.

Sultan iniziava lanciando oggetti contro la banana, poi prendeva per mano i ricercatori e li portava sotto al frutto nella speranza che lo cogliessero per lui (o lo sollevassero). Falliti tutti questi tentativi si sedeva, apparentemente ponderando, fino a quando “Aha!”: iniziava a impilare le cassette o a unire vari bastoni per farne uno più lungo, raggiungendo la banana. Non era stato addestrato né aveva ricevuto dei premi per questo comportamento, che Köhler descrisse come un’intuizione improvvisa. Sultan non era arrivato alla soluzione per prove ed errori (o perlomeno non al di fuori della sua mente): era come se avesse riconfigurato gli elementi a disposizione, la banana, il bastone e le cassette, per poi arrivare alla risposta.

È ancora questo che intendiamo quando parliamo di insight negli animali o il concetto di è espanso nel tempo, diventando qualcosa di diverso? Lo abbiamo chiesto a Richard W. Byrne, noto studioso dell’evoluzione del comportamento sociale e cognitivo e autore del libro “Evolving Insight” (Oxford University Press,  2016).

Professor Byrne, prima di tutto: quando parliamo di insight in animali e umani parliamo della stessa cosa, ovvero risolvere un problema ri-configurando i suoi elementi e non attraverso un processo analitico?

Non sono molto d’accordo con la definizione del “non attraverso un processo analitico”. È questo il problema con il termine insight, si tende a comprendere cose diverse: l’interpretazione di un unico esperimento controllato, quello di Sultan, ha avuto un’influenza eccessiva e ha reso facile affrettare le conclusioni sull’intera idea di insight negli animali. La definizione che do all’inizio del mio libro è essere in grado di rappresentarsi mentalmente gli elementi fondamentali di una situazione, anche se non li si percepisce direttamente, dipendono da correlazioni oppure sono variabili nascoste, delle entità che in quel momento non si possono vedere. Il che comprende molte più cose rispetto a “risolvere i problemi ri-configurandoli”, anche se ovviamente lo include.

 


Uscire dalla semplificazione dell’Eureka rende di certo le cose più complicate. Nel suo libro dice anche che ci sono due tipi di insight, perché “è evidente che gli esseri umani hanno una comprensione maggiore basata sul potere rappresentativo del linguaggio”. Si intende la nostra capacità di rappresentarci scenari astratti senza averli mai visti, o magari parlare delle nostre intenzioni? Ci spieghi meglio.

Se gli animali prendono decisioni in base alla pianificazione, riguardo a cose che non possono percepire in quel momento, significa che se le rappresentano mentalmente. Dunque hanno un insight in merito. [Con il linguaggio, ndr] c’è lo stesso fraintendimento dell’Eureka: l’insight di cui parlo si basa sul rappresentarsi il mondo nella mente, il che significa che più è potente il codice che abbiamo per rappresentarcelo più sarà elaborato e complesso il nostro insight. Il linguaggio, lo sappiamo dagli studi sugli umani, permette di ricordare informazioni più stabili ed elaborate per lunghi periodi. Quando assistiamo a un evento drammatico, ad esempio, non conserviamo a lungo il ricordo percettivo dell’evento, ma la conoscenza proposizionale, descrizioni verbali incluse, di quello che è successo. È pericoloso nel caso dei testimoni oculari: ricordano soprattutto quello che hanno detto ad altre persone dopo l’evento, non quello che hanno visto davvero!

Quindi possiamo annoverare tra le specie capaci di insight gli scimpanzé, che pianificano il ritorno agli alberi da frutto considerando la distanza, il grado di maturazione e molti altri elementi senza poterli effettivamente vedere. Per quanto ne sappiamo, quali altre specie hanno insight? Quali parti del loro cervello sono coinvolte?

Questo, come può immaginare, dipende dalla definizione che si adotta! Gran parte del mio libro è dedicata proprio a rispondere a questa prima domanda e sono un po’ riluttante a riassumerla in una sorta di lista. Ma può essere d’aiuto pensare a questa “lista” come composta da due tipi di specie: un gruppo di specie strettamente imparentate con noi, che ci mostrerebbe quanto tempo fa abbia avuto origine quest’abilità, e un altro formato da specie con le quali non siamo imparentati, ma che lo stile di vita ha comunque portato a evolversi in direzioni simili alla nostra e a quella dei nostri parenti più stretti. Questo secondo gruppo include, probabilmente, gli odontoceti, gli elefanti e i corvidi.

Per quanto ne so non conosciamo quali regioni del cervello sono coinvolte, il che probabilmente significa che si tratta di aree molto grandi. In particolare, l’associazione tra le dimensioni del cervelletto e le specie che hanno mostrato vari tipi di insight ci suggerisce che non è affatto limitato alla corteccia cerebrale.

Quali sono oggi le lacune nella nostra comprensione dell’evoluzione dell’insight?

Sono molte e davvero vaste. Ma per quanto mi riguarda, il problema peggiore è che l’attenzione è sempre stata rivolta alle specie che informalmente consideriamo “intelligenti” e dotate di cervelli piuttosto grandi, implicando -senza averlo testato- che tutte le altre mancano di insight. Nel ricostruire l’evoluzione abbiamo bisogno di basi solide per poter dire che questo o quel gruppo di specie non ha un’abilità, non solo continuare a dimostrare che pochi gruppi speciali invece la hanno.

 

Nel 2002 uno studio riportava la performance di Betty, un corvo della Nuova Caledonia che per raggiungere il cibo aveva piegato un fil di ferro a forma di amo. Di fronte a un problema nuovo aveva elaborato una soluzione nuova per conto suo: anche se l'interpretazione dell'esperimento è stata ridimensionata, fu considerato uno dei primi esempi di insight negli uccelli.

Non da me. Privilegiare un aneddoto osservato in cattività -per quanto notevole- è una scelta infelice. Non ci fornisce informazioni sulla possibilità che sia stata fortunata o aiutata dal caso, né su come ci sia riuscita la prima volta. Possiamo imparare molto di più studiando cosa fa la maggior parte dei corvi e in particolare cosa fa in natura.

Torniamo allora agli scimpanzé, che in natura modificano dei bastoncini rendendo la punta simile a un pennello, in modo da catturare le termiti più facilmente. 

Se uno scimpanzé lo fa in modo appropriato prima di arrivare sul luogo in cui ne avrà bisogno, significa che ha una rappresentazione mentale di ciò che gli servirà come strumento. Io la considero una forma di insight, a prescindere da come abbia acquisito quella conoscenza, perché richiede di avere in mente una rappresentazione piuttosto astratta dell’obiettivo. È quello che nella vita di tutti i giorni chiamiamo “comprendere”: le prove ci mostrano che lo scimpanzé “comprende” che un legnetto con la punta a pennello gli sarà utile. Ha un insight nella funzione, perciò prepara lo strumento in anticipo.

Ma a questo punto come distinguiamo un utilizzo complesso degli strumenti dall’insight?

Se il problema porta l’animale fare una lunga serie di azioni, prima di arrivare al risultato, possiamo definirlo complesso. Anche se in nessuna fase sono serviti insight o comprensione. Allo stesso modo, se il corredo genetico di una specie porta l’animale a fare molte operazioni prima di arrivare al risultato, questo certamente è complesso, ma non c’è traccia di insight: l’esempio più ovvio sono gli uccelli che costruiscono nidi molto elaborati, come gli uccelli tessitori, in cui gran parte del processo è determinato proprio dall’appartenenza a una specie.

 

C’è consenso intorno all’idea che gli animali con cervelli più grandi siano i migliori candidati per l’insight, perché nella vita di tutti i giorni devono risolvere problemi sociali e muoversi in un ambiente sociale complesso? Qual è la sua opinione al riguardo?

La mia opinione, un po’ cinica, è che le idee condivise dalla maggioranza -come credo sia quella che mi ha appena sottoposto- sono spesso sbagliate! Nel mio libro argomento diffusamente che le abilità di tipo tecnico e ambientale siano legate da un nesso causale all’origine dell’insight negli ominidi, le cui sfide sociali non sono più impegnative rispetto a quelle delle scimmie, che non sembrano avere insight se non in alcuni ambiti limitati dei problemi di tipo spaziale. Il fatto che il corvo, una specie solitaria che vive in coppie durature, se la cavi così bene nel problem solving in laboratorio, anche nei problemi sociali come quelli che richiedono una certa teoria della mente [la capacità di comprendere gli stati mentali propri e altrui, ndr], mi fa pensare che la mia congettura sia corretta!




 Diamo Valore al tempo?




Immagina che esista una banca che ogni mattina accredita la somma di 86400 euro sul tuo conto; non conserva il tuo saldo giornaliero; ogni notte cancella qualsiasi quantità del tuo saldo che non sia stata usata durante il giorno.
Che faresti? Ritireresti e spenderesti tutto fino all'ultimo centesimo ogni giorno, ovviamente!


Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa banca... il suo nome? Tempo.

Ogni mattina questa banca ti accredita 86.400 secondi; ogni notte questa banca cancella e dà come perduta qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito.
Questa banca non conserva saldi né permette trasferimenti.
Ogni giorno ti apre un nuovo conto.
Ogni notte elimina il saldo del giorno.
Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua. Non si può fare marcia indietro, non esistono accrediti sul deposito di domani.
Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, felicità e successo: l'orologio continua il suo cammino! Ottieni il massimo da ogni giorno.


Dai valore ad ogni momento che vivi e dagli ancor più valore se lo potrai condividere con una persona speciale, quel tanto da poterle dedicare il tuo tempo e ricorda che il tempo non aspetta nessuno.

Ieri? Storia.
Domani? Mistero.
È per questo che esiste il presente...


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