Selfiamooooo?
«Morire per un selfie», lo
studio dei Paesi con più incidenti: l’India in testa
Uno studio
della Carnegie Mellon University degli Stati Uniti e dell’Indraprastha
Institute of Information Technology di New Delhi classifica per la prima volta
tutti gli scatti estremi che hanno causato la morte dell’autore. L’India
detiene il record di decessi: 76 in due anni
Xenia Ignatyeva, russa, è morta
cadendo da un ponte ferroviario dopo un volo di trenta metri. Aveva 17 anni.
Una giovane coppia di polacchi è morta in Portogallo precipitando da una
scogliera nell’Oceano. Con loro c’erano i figli, adesso orfani. Oscar Otero,
messicano di 21 anni, è morto con un colpo di pistola secco alla tempia.
E ancora: un ragazzo di 21 anni, in Spagna, è morto folgorato dopo essere
salito su un treno in movimento. Mentre la 32enne Courtney Sanford, in
Carolina del Nord, è morta schiantandosi contro un camion mentre era alla guida
della sua auto, che poi ha preso fuoco. Qual è il filo conduttore che lega
queste storie? La causa della morte: un selfie.
Una
distrazione fatale mentre cercavano di farsi l’autoscatto più pazzo, più
memorabile, più cool, da postare poi sul proprio profilo Facebook e fare il
boom di like. C’è chi si scatta la foto alla guida di un auto, chi sull’orlo di
un precipizio, chi sui binari aspettando l’ultimo secondo per scansarsi dal
treno. Una forma di egotismo (se così si può definire) sempre più virale e
sempre più pericolosa che ha portato le scienze sociali ad aprire un nuovo caso
di studio della psicologia umana “2.0”: chi muore “di selfie”? Chi mette a
repentaglio la propria vita per un pugno di like?
Sono le
domande a cui prova a dare una risposta la rivista statunitense Psychology
Today, che fa notare come i morti “per selfie” siano tanti e in
aumento.“Le persone stanno letteralmente morendo per scattarsi foto”), scrive
la rivista dando il la a un filone di studi destinato nei prossimi decenni ad
affiancare i grandi interrogativi delle scienze sociali: qual è il profilo di
un suicida, di un tossicodipendente, di un alcolista, di un giocatore
d’azzardo? E allora qual è il profilo di un “selficida”
(selficide è il termine che si legge nell’articolo e che non ha traduzione
in italiano). “Da quando il sociologo Emile Durkheim scrisse il suo
classico studio sul suicidio, nel 1897 – scrive la rivista di psicologia –
abbiamo scoperto che gli uomini sono più propensi a uccidere se stessi rispetto
alle donne. Come il sucidio, la morte per selfie non è distribuita in modo
casuale fra la popolazione”. Secondo Laurie Essig, professoressa di
sociologia e studi di genere al Middlebury College e autrice dell’articolo, la
morte per selfie è “prevedibile e schematica”. Si verifica infatti tra
coloro per i quali i social media sono “un fattore importante per il proprio
sé”. Per questo i più a rischio, secondo la sociologa, sono i giovani i quali
sono anche quelli più fantasiosi e propensi a pose strambe e pericolose.
Per capire
il rischio che alcune persone sono disposte a correre per un selfie è
importante, scrive la Essig, “rivolgersi al sociologo Erving Goffman”.
In La vita quotidiana come rappresentazione, Goffman, scrive
infatti che “diventiamo noi stessi eseguendo noi stessi.
Cinquant’anni prima della generazione selfie
– scrive la sociologa – aveva capito che non c’è un sé nucleo, ma solo un sé in
relazione agli altri e che, per essere noi stessi siamo costantemente chiamati
a far intervenire noi stessi. Il problema – continua – è che potremmo cominciare
a credere che le nostre performance teatrali siano reali o, peggio ancora,
diventare alienati e cinici nei confronti del nostro reale agire”. Nei social
media, secondo la sociologa, succedono entrambe le cose: mettiamo in scena noi
stessi e allo stesso tempo riconosciamo questa messa in scena. Il selfie è
oggi, secondo la Essig, lo strumento per eccellenza per dare una
rappresentazione di noi stessi agli altri e cercare di ottenere che gli altri
ci credano. Un modo di dire: guarda, io ho una vita migliore della tua perché
sono su questo ponte in bilico o perché ho una pistola puntata alla tempia. E
sono soprattutto i giovani a essere famelici di maschere da indossare nel
teatrino della vita, ancora meglio se virtuale. “E così un nuovo tipo di selfie
è nato: – scrive la sociologa – il selficide”. Cosa che, se fosse una
rappresentazione teatrale, per rimanere in campo goffmaniano, sarebbe a tutti
gli effetti una tragedia
oppure si può anche non essere in pericolo per un Selfie
In Texas arriva la statua dedicata ai selfie
Se è vero che l'arte in generale e la scultura in particolare trasforma in monumento eterno la contemporaneità cogliendo simboli e oggetti del presente per donarli alla storia un giorno i discendenti dei discendenti passeggiando per Sugar Land, in Texas, trovranno una statua che più d'altre racconta il nostro tempo.
Si tratta della raffigurazione a grandezza naturale di due giovani ragazze che si scattano un selfie davanti al municipio.Una scultura in bronzo di certo bizzarra, ma di sicuro contemporanea al nostro tempo e che fa parte di una collezione di dieci pezzi donata da un cittadino alla Sugar Land Legacy Foundation. La scultura verrà affiancata a una seconda opera che ritrae un musicista seduto su una fontana.
Il valore stimato delle due installazioni è di 32.500 dollari.
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